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Home›Il Nostro Network›Equità nella salute: tra migrazioni e condivisione

Equità nella salute: tra migrazioni e condivisione

di Erika Giambattista
19 Dicembre 2017
8149
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TagsAttività BeneficheConsulcesi ONLUSResponsabilità socialeRisultatiSanitàSanità di FrontieraVolontariato

Indossare le lenti dell’equità per indagare il proprio stato di salute è ciò che ha chiesto l’Europa ai suoi Stati membri.

E L’Italia ha risposto con un innovativo documento promosso dal Ministero della Salute, intitolato “L’Italia per l’equità nella salute”, elaborato da INMP, AGENAS, AIFA e ISS[1] con l’intento di fornire un quadro delle diseguaglianze socioeconomiche in Italia e dei loro effetti sulla salute della popolazione.

In Italia, l’aspettativa di vita di un laureato è superiore di 3 anni rispetto a un coetaneo con la sola scuola dell’obbligo[2]. Tali diseguaglianze si amplificano tra nord e sud del Paese, e – dato ancor più impressionante- aumentano anche se si procede dal centro alla periferia di una città. Se, infatti, dal centro ricco di Torino si salisse su un ipotetico tram che misura l’aspettativa di vita dei cittadini attraversando la città verso la zona operaia, più povera, a ogni chilometro di tragitto si perderebbe mezzo anno di aspettativa di vita, dimostrando un grande divario di equità nella salute.

Sono numeri che fanno drammaticamente capire quanto le diseguaglianze siano presenti in Italia, anche a livello di città, a prescindere che siano esse a Nord o a Sud.

Il panorama italiano

Quindi, anche in un paese come l’Italia, dove vige un sistema sanitario universalistico, tali diseguaglianze persistono e sono spesso rappresentate da disparità nella salute o nell’accesso alla assistenza sanitaria.

Dai dati della ricerca emerge il quadro di un’Italia purtroppo ancora diseguale nell’aspettativa di vita, nella distribuzione delle malattie croniche mortali, nel livello di salute percepita, nel livello di scolarizzazione, nell’occupazione e qualità del lavoro, nel reddito, nelle condizioni abitative, nei comportamenti a rischio per la salute, nella prevenzione e nell’accesso alle cure. Tutti fattori, questi, che sono strettamente connessi alla salute di una persona.

La domanda di fondo è: cosa influenza queste disuguaglianze dei livelli di salute? Si tratta di fenomeni evitabili?

Il fattore comune che sembra essere alla base di tali diseguaglianze di salute è la condizione sociale, ovvero l’insieme delle risorse e delle capacità con cui una persona vive.  La condizione socio-economica racchiude in sé diversi fattori, che concorrono a determinare il livello di salute di un individuo ( quali ad esempio la casa, il lavoro, l’educazione, gli stili di vita, ecc.).

Verso una strategia condivisa per l’equità nella salute

Le diseguaglianze di salute sono determinate, per la maggior parte dei casi, da fattori di tipo strutturale, quindi spesso evitabili.
E’ interessante soffermarsi su quanto proposto dal documento citato circa la possibile strategia di investimento nazionale per tendere ad una maggiore equità. Il volume evidenzia infatti gli obiettivi prioritari che possono incidere sui determinanti di salute, mitigando le diseguaglianze:

  • investire nelle capacità genitoriali e nelle condizioni di vita degli anni prescolari per far crescere le possibilità di apprendimento di capacità e competenze utili per la salute;
  • orientare le politiche occupazionali verso l’equità anche in termini di salute;
  • considerare fondamentali le politiche di sostegno al reddito e di contrasto alla povertà;
  • investire sulle politiche abitative e di riqualificazione urbana quali significativi potenziali di moderazione delle diseguaglianze;
  • riequilibrare le politiche di prevenzione e orientarle verso i gruppi a maggior rischio, quindi i più vulnerabili;
  • contrastare tutte le barriere alle cure e all’assistenza valorizzando le relazioni sociali di prossimità (le reti sociali).

Gli interventi sui gruppi vulnerabili

In questo panorama, gli immigrati rappresentano certamente una popolazione doppiamente vulnerabile. Si tratta di gruppi che si trovano spesso in condizione di estrema povertà e marginalità e, quindi, maggiormente esposti a fattori di rischio per la salute.

Per questa fascia della popolazione occorrono interventi selettivi, ma anche olistici, come sono quelli diretti alla salute di coloro che appartengono alle comunità di accoglienza.

Secondo i dati IDOS sull’immigrazione[3], in Italia la popolazione straniera residente nel 2016 era pari a 5.047.028, le domande dei richiedenti asilo nel solo 2016 erano 122.960 e i migranti forzati accolti nel nostro sistema di accoglienza nei primi tre mesi del 2017 sono stati 137.218.

Nello specifico, Roma conta una popolazione straniera di 377.000 persone[4] di cui il 44% di provenienza europea. Del restante 56%, il 33% viene dall’Asia, il 12% dall’Africa, l’11 dall’America centro-meridionale. Di questa variegata popolazione una parte, pari a circa 2.500 persone, si è stabilita in insediamenti informali – ossia in situazioni abitative precarie, caratterizzate da forme più o meno accentuate di autogestione. Gli stranieri dimoranti in tali contesti sono di prevalenza persone non incluse nel sistema di accoglienza istituzionale perché in attesa di accedere alle procedure di asilo, o, più spesso, perché non vi sono mai entrati, o ancora perché sono usciti dai percorsi di accoglienza previsti dalla legge senza avere concluso un efficace percorso di riconoscimento e inserimento.

E’ evidente che, fra tutti i gruppi vulnerabili, tale fascia di popolazione è particolarmente bisognosa di ricevere interventi mirati che possano contribuire a migliorare le loro condizioni di salute.

Nonostante siano presenti numerose azioni e buone pratiche in tale senso, sia di iniziativa pubblica che del privato sociale, dalla ricerca emerge come la strada verso la rimozione degli ostacoli per i gruppi più vulnerabili, e in particolare i migranti, sia ancora in salita (a causa della presenza di barriere normative, culturali, burocratiche, linguistiche,  per l’ elevato rischio di rinuncia alle cure e per la scarsa presa in carico dei bisogni di salute nelle aree geografiche più deprivate).

L’intervento di OIS e del Progetto “Unità Mobile Sanità di Frontiera”

L’Associazione OIS-Osservatorio Internazionale per la Salute Onlus, concentra, pertanto, le sue risorse e le sue azioni verso questa sfida di civiltà, contribuendo – per quanto possibile – a rimuovere quegli ostacoli e quelle barriere visibili e invisibili che allontanano i gruppi più vulnerabili dall’accesso alle cure. Cure che rientrano nel diritto alla salute sancito dalla costituzione e riconosciuto a tutte le persone presenti sul territorio, a prescindere dallo status giuridico.

In questo senso, nasce il “Progetto Unità Mobile Sanità di Frontiera” che vedrà muovere i primi passi nel 2018.

Obiettivo del progetto è di contribuire al miglioramento del livello di salute e benessere di persone svantaggiate, in particolare migranti dimoranti in alcuni insediamenti informali di Roma, attraverso l’attivazione di una clinica mobile, l’“Unità Mobile Sanità di Frontiera”, che fornisca servizi di assistenza medico-sanitaria -quali la realizzazione di visite mediche e di specifiche campagne di screening- nonché un’attività permanente di informazione e orientamento sul sistema sanitario e sull’accesso ai servizi presenti sul territorio, anche allo scopo di rafforzare l’interazione tra questi servizi e i beneficiari degli stessi.

L’idea progettuale nasce da un’approfondita analisi del contesto, che evidenzia come la popolazione di stranieri dimoranti negli insediamenti informali presenti caratteristiche di estrema vulnerabilità, dovute a condizioni di disagio sociale, nonché a barriere culturali e psicologiche.

Emerge, dunque, la necessità di un’assistenza medico-sanitaria sensibile a differenze culturali e ad approcci psicologici attenti e dedicati. In questo contesto il progetto favorirà, altresì, la creazione di un ponte durevole tra il bisogno espresso e l’offerta pubblica esistente sul territorio, rendendo i beneficiari consapevoli dei propri diritti in materia di salute ed orientandoli verso i competenti servizi sanitari.

 

Dott.ssa Valeria Vivarelli
Referente OIS per il progetto “Sanità di Frontiera”

 

[1] Istituto Nazionale per la Promozione della salute delle popolazioni Migranti e per il contrasto delle malattie della Povertà (INMP), l’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali (AGENAS), l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), Istituto Superiore di Sanità (ISS).

[2] Dati ISTAT,  2012-2014, emerge che la speranza di vita a 30 anni per un laureato è di 53,4 anni; per chi ha la maturità è di 52 anni; per chi ha la licenza media è di 50, 5 anni.

[3] Dossier Statistico Immigrazione 2017

[4] Statistiche cittadini-stranieri-2017- Elaborazione Dati ISTAT

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